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Recensioni
Massarotti, guardando Sartre
La sua poetica è nelle parole di Sartre: “Cogliere l'uomo - dov'è / nell'insieme infinito delle relazioni con l'esterno / Partire dall'uomo com'è (...) fargli sentire la sua consapevolezza e dargli il senso della critica”.
La sua produzione nella pittura: 17 anni dal 1960 al 1977.
Come donna ha dato tutto all'amicizia, alla comprensione degli altri; come artista non ha dissociato letteratura, musica e pittura, per le quali ha vissuto. Non è stata al gioco; ha fatto invece il «suo» gioco; e ciò persino con colei con la quale non si può più giocare. Come Modigliani l'altro ieri, Tancredi ieri, ha bruciato - insieme - vita e pittura.
Grazie agli amici - da Claudio Abbado a Maurizio Pollini, da Giovanni Testori a Gina Lagorio, da Mario Rossello a Maurice Henry, da Livio Garzanti a Rossana Bossaglia, da Giuliano Gramigna ad Alberico Sala - Nelia Massarotti ha finalmente oggi una mostra che non ebbe in vita: a Palazzo Dugnani (in via Manin, tino al 21 novembre) iconologicamente curata da Marisa Dalai Emiliani con l'aiuto di Silvia Mascheroni.
Il taglio contenutistico della mostra permette, finalmente, di capire chi fu e cosa fece, questa fragile creatura, viva, e inafferrabile come pittrice.
Pur nella brevità del suo operare, alcuni lavori lasciano un segno, un'impronta. Aveva le mode in “gran dispetto”, dacché ascoltava la voce dell'anima. Solo quella. Laureata in inglese con una tesi su William Morris, abbandonò l'insegnamento per la pittura. Cominciò quest'ultima, proprio nel momento della morte del padre, famoso neuropsichiatra, autore tra l'altro di un importante saggio sul suicidio nell'età moderna. Dalla madre ereditò la passione per la musica. Psiche, musica, letteratura, sulla tela si riconvertono in lei in impegno che va oltre il biografico, poiché investono il quesito centrale: il valore dell'umano.
Nei primi anni, in un'atmosfera cupa e crepuscolare, intimista ma non sdolcinata, Nelia fissa il tema - poi ricorrente -. della coppia, o meglio dell'amore impossibile. Contemporaneamente, con una trascrizione veloce, tutta nuances, delinea stati d'animo legati a momenti della musica.
Terzo livello: l'impatto angoscioso dell'uomo con la città, giungla di pietra. La sua tematica, prettamente esistenziale, sul piano pittorico non concede piacevolezze: imperiosa, sintetica, drammatica. Lo stile è personale: schivo. Da Klee acquisisce l'abitudine alla confessione mediante il disegno, a metà strada tra ingenuità e scavo impietoso; da Felninger, che sente suo maestro ideale, trae una passione fredda e tesa, «invernale» per luci e sentimenti. La Massarotti ha un proprio Sturm und drang, voracissimo, mentre altri, allora si occupano di cinetismi, di pop art, di strutture primarie. Cerca l'«uomo» come Diogene; ma l'uomo assurdo di Camus, o l'uomo baluginante in frammenti di Montale.
Nella pittura è forte, cupa e tempestosa, virile e stoica; usa asprezze, come il nudo compensato o superfici in rilievo. Nei disegni è ancora più sintetica, fulminea; sfiora, con un tratto quasi «psicotico», e oltrepassa il grottesco; scavalca il drammatico per il tragico. Gioca col destino una partita che sa di non poter vincere.
Perciò è così rapida a ritrarre la smorfia dei malati di mente, la regressione all'avidità più ferina dei mangiatori solitari, oppure il tocco magico dei musicisti, il sembiante dei più famosi poeti e scrittori dai volti-labirinto, carpiti dal video televisivo.
I paesaggi - che sono tra le cose più belle - luoghi di desolazione, deserti dell'anima e dell'eros, mostrano questo senso di fuga che contrassegnò la sua poetica. Nel contempo illustrano una sensibilità di tipo nordico. Due o tre critici solo, e galleristi non importanti, la capirono lei viva in Italia.
Espressionista per stile come per contenuti - oggi alcuni «ominidi della pittura» lo sono, a freddo, per atteggiamento - la Massarotti subì la comune sorte, per cui da noi i lirici e gli espressionisti non sono né amati né intesi.
C'è chi dipinge pittura; chi ideologia; e chi dipinge il destino. La Massarotti fu tra quest'ultimi.
Riccardo Barletta
Corriere della Sera - 14 novembre 1982